ALCUNE RIFLESSIONI A PROPOSITO DI 25 APRILE

19 aprile 2016 - Blog

È stato detto che il fascismo in Italia è stato sconfitto dal punto di vista militare, ma non certo sul piano politico e culturale: già nel dicembre del ‘46, un anno e mezzo dopo la fine della guerra, venne infatti fondato l’MSI, movimento che si rifaceva apertamente alla Repubblica di Salò e che poté inserirsi all’interno del quadro politico italiano. Nelle elezioni del ’48 l’MSI raccolse mezzo milione di voti e nel ‘72 arrivò addirittura ad essere il quarto partito in Italia; i voti dei missini furono inoltre determinanti per far nascere diversi governi ed eleggere i Presidenti della Repubblica Gronchi e Leone. La continuità con il fascismo nel dopoguerra interessò anche altri apparati statali: negli anni ‘50 e ’60 infatti la quasi totalità dei prefetti e dei questori veniva dai ranghi dell’Italia fascista. Riportiamo solo un episodio per dare l’idea della situazione: Sandro Pertini, all’epoca Presidente del Senato, arrivò negli anni ‘70 a Milano; il questore che gli si presentò era stato il suo carceriere e Pertini si rifiutò di stringergli la mano.

Nel corso dei decenni in Italia la destra istituzionale ha legittimato e sdoganato la destra estrema, costituendovi sistematicamente alleanze politiche: nella campagna elettorale del 2006 ad esempio lo schieramento del centrodestra andava da Casini a Fiamma Tricolore e Forza Nuova. Nel nostro Paese vi sono in effetti moltissimi denominatori comuni tra destra istituzionale e destra estrema: entrambe si oppongono ad una società multiculturale ed egualitaria e promuovono la famiglia naturale uomo-donna contro l’omosessualità, entrambe spingono per cancellare il carattere antifascista della Costituzione e tendono ad interpretare la Resistenza come terrore rosso e comunista, entrambe considerano il nostro Paese come una parte dell’Occidente identificabile nella Cristianità e assediata dell’invasione di extracomunitari e musulmani che attentano alle sue tradizioni culturali e religiose.

Non stupisce perciò che il 25 aprile venga vissuto come giorno di divisione da una parte significativa della popolazione: il tema dell’equiparazione tra partigiani e repubblichini ricorre in effetti da anni. Nel settembre 2008 La Russa disse: “Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell’esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della Patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia.” L’anno successivo proprio a ridosso del 25 aprile Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, rispose così alla domanda su cosa ne pensasse della proposta di legge che il Pdl voleva presentare per equiparare i repubblichini di Salò ai partigiani: “È un tema su cui non ho ancora messo la testa. Ci sono state differenze, anche se la pietà deve andare anche a coloro che credendosi nel giusto hanno combattuto per una causa che era una causa persa. Su questo tema rifletteremo.” In questi anni si tende inoltre a minimizzare le colpe ed i crimini del fascismo: in occasione del Giorno della Memoria del 2013 sempre Berlusconi aveva suscitato reazioni di forte sdegno (che lo costrinsero poi al dietrofront) con queste affermazioni: “Il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene.” Stiamo assistendo quindi ad una progressiva marginalizzazione dei valori della Resistenza e della cultura antifascista anche a livello istituzionale.

Secondo noi purtroppo negli scorsi decenni la città di Alba non si è distinta a sufficienza in questo clima: basti pensare a quanti ostacoli ha dovuto superare il percorso che ha portato all’intitolazione del liceo scientifico a Leonardo Cocito (la cui figura di professore e partigiano comunista era evidentemente scomoda); al contrario ancora oggi il liceo classico è intitolato al generale Govone, personaggio che si rese responsabile, dopo l’unificazione italiana, della repressione dei moti meridionali di ribellione sociale, con la fucilazione di numerosi cosiddetti “briganti”, e per questi suoi “meriti” fu nominato poi “Ministro della Guerra” del Regno d’Italia.

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