Manifesto

Il contesto

C’era una volta la Comunità… potrebbe essere l’incipit di una ipotetica, triste e amara favola contemporanea. Si narra di una formazione socio-economica che, nella sua incessante ricerca di profitti, sfrutta l’ambiente e le persone, aumenta le disuguaglianze, produce fame e cancella diritti umani e del lavoro faticosamente conquistati.

Dopo poco, però, ci si accorge del carattere documentaristico del racconto, che altro non è che la calzante descrizione del Capitalismo. Lungi dall’essere solo un modello economico, il sistema capitalistico è un’organizzazione sociale in cui prendono corpo individualismo esasperato, conformismo e omologazione.

Riconoscersi solo tra “identici”, nella più sterile oggettivazione dell’essere umano, ha prodotto una comunità in cui le relazioni si sono trasformate in una competizione continua alla ricerca del successo personale, in cui non ci viviamo più come cittadini e Soggetti, ma come consumatori.

Il capitalismo in essenza individualizza, separa, distrugge quel che in maniera ostinata continuiamo a chiamare Società.

Costume educativo contemporaneo

L’attuale mondo-dell’educazione (educatori e adulti in generale) ha una grossa responsabilità nell’aver costruito questa realtà culturale. Addirittura sottoscrive il progetto capitalista di dominio dell’uomo sull’uomo, quando permette che la persona divenga un prodotto e il compimento personale stia nella realizzazione manageriale di sé.

Il progetto pedagogico è altrettanto colpevole quando si delinea come specializzazione e come tecnica “neutra”: si mantiene di fatto lo status quo intriso di narcisismo esasperato e comportamento anti- solidale. Si rompe ogni onesto legame sociale mercificando e privatizzando gli aspetti fondanti della vita stessa.

Se è globale, è anche locale e ci riguarda

Sostenere che il contesto storico-politico nel quale siamo immersi non ci riguardi equivale ad illudersi. Sarebbe come credere che la nostra realtà educativa territoriale continui a produrre valori e buone relazioni senza subire le complessità della globalizzazione capitalista.

A tutti I livelli istituzionali sono stati operati tagli alla spesa pubblica che hanno portato a licenziamenti e allo smantellamento dei diritti dei lavoratori del sociale. Non è possibile pensare che i servizi si siano mantenuti di qualità.

Stiamo vivendo un’involuzione (soprattutto nel locale) manifestata nel menefreghismo e nella delega di gran parte della popolazione su temi che riguardano il futuro della nostra esistenza e convivenza. Dare per scontata la democrazia è un grande errore umano, pedagogico e politico: c’è bisogno di partecipazione.

Criticità dell’attuale sistema

La situazione è palesemente insostenibile: per questo promuoviamo un movimento e un dibattito pubblico e aperto a tutta la cittadinanza interessata. Crediamo necessari un ripensamento generale e una nuova impostazione per C.A.M (centri attività minori) e progetti di Politiche Giovanili. Queste attività sono nate con chiari intenti socio-educativi e ci lavorano ottimi operatori e operatrici. Per come sono organizzate e gestite, però, rischiano di non comprendere fino in fondo le dinamiche sociali della realtà per poterle trasformare in senso comunitario autentico.

Ecco alcuni nodi critici:

• Un’attività educativa di qualità non può prescindere dalla corretta definizione, stabilità continuità della condizione lavorativa. Oggi manca però una cultura del lavoro e del lavoratore educativo.

• L’idea originale di volontariato dovrebbe essere: attività spontanea e di reciprocità comunitaria. Negli ultimi anni si è ridotta a sostituzione di manodopera educativa (soprattutto nelle attività estive);

Il confine tra Enti pubblici e privati non è ben definito. Ne consegue la mancanza di controllo pubblico da parte degli enti finanziatori (Comuni e Consorzio) nei confronti degli enti gestori (Associazioni, Cooperative, Parrocchie, etc.). Questo meccanismo contribuisce allo smantellamento del Welfare pubblico;

• L’avere caratterizzato educazione e progetti educativi come servizi apre di fatto ad una logica economica, specializzante e di delega del tema educativo;

Attività e progetti educativi sono sempre più impostati come risposta al bisogno di ragazzi e genitori, dimenticando però il vero tema della formazione delle giovani generazioni. Il metodo dell’attivismo propone una bulimia di proposte,di intrattenimento e svago per occupare il tempo e gli spazi.

• L’utilizzo di contenuti e metodi pedagogici ambigui, quali la prevenzione, le competenze , il disagio, non permette di chiarire il vero obiettivo di un sistema educativo, ossia la promozione di Soggetti dotati di coscienza critica comunitaria;

Gli strumenti: Ricerca, Comunità e Militanza educativa

C’è bisogno di ricostruire una socialità umana rinnovata, questo è il difficilissimo compito che un‘Educazione Sociale, Popolare e Comunitaria si deve porre. Per raggiungere questo obiettivo serve che gli individui e le comunità umane sviluppino capacità che ancora non hanno.

La sfida è affrontare il capitalismo contemporaneo con il suo carico di catastrofe sociale. Sono necessari un atteggiamento di ricerca e una militanza pedagogica che promuova la partecipazione attiva e critica delle persone per la loro emancipazione dall’oppressione.

Solo attraverso il contributo di tutti si può ricostruire una Comunità (educativa) che mette in comune conoscenze e pratiche intergenerazionali. Questa Comunità si riapproprierebbe di quei beni comuni naturali e sociali che i grandi potentati economici con la complicità dei governi le hanno sottratto.

La nostra ricerca ha come riferimento quel filone che, dal referendum sull’acqua pubblica all’occupazione di teatri da parte di collettivi di lavoratori artistici in molte parti d’Italia, ha promosso in ambito politico, sociale e giuridico il paradigma dei Beni Comuni.

Educazione: Bene Comune?

Quali persone vogliamo diventare? che relazioni sociali cerchiamo? quali spazi e tempi vogliamo costruire e condividere? che stile di vita vogliamo perseguire? Questi sono i temi che a livello educativo dovrebbero essere indagati e promossi insieme alle giovani leve.

Quindi ci stiamo chiedendo se sia possibile fondare un’Educazione militante in stretto contatto con una progettualità politica di difesa e ampliamento dei Beni Comuni, e se questa possa essere la strada per una rinnovata partecipazione democratica di riscoperta attiva della vita della Comunità.

Il nostro percorso rivendica il diritto di azione educativa da parte della Comunità. Rivendichiamo il potere decisionale e di gestione di dinamiche, progetti e attività educative e dello stile con cui devono essere promosse.

Si tratta di fondare l’Educazione (e le attività educative connesse) come attività umana Pubblica e come Bene Comune: questa concezione ci porta a ragionare sul vero senso del lavoro e del progetto educativo generale favorendo uno stretto legame tra lavoratori e cittadini. Serve democratizzare radicalmente contenuti, luoghi e tempi delle decisioni che possono avere effetti sulla vita delle persone di un territorio.

Tutto ciò permette di ricostruire un corpo sociale (non solo professionale) che con azioni dirette stimola relazioni significative promotrici di cambiamento nelle vite personali, nei comportamenti sociali e nelle scelte politiche. L’Educazione come Bene Comune richiama urgentemente ad una riflessione pedagogica che stimoli la promozione del pensiero critico. Allestendo contesti di conoscenza e scambio allontana la deriva valutativa, di misurazione e controllo sociale delle pratiche educative contemporanee.

Mettendo in discussione il progetto neoliberista di costruzione di identità funzionali solo al Mercato, si promuove una riscoperta dell’Altro come Soggetto portatore di diritti e di relazioni interdipendenti. Obiettivo è quello di creare un movimento comunitario di rifondazione educativa che ci esorta ad approfondire la questione della collocazione politica tra autogestione e Istituzioni.

Ruolo di educatori e degli adulti

Fondare l’Educazione come Bene Comune permette di riconoscere l’operatore educativo come lavoratore, e non come “missionario”. La professionalità che ne deriva non è certo quella dell’esperto e del tecnico del sociale, anzi:

• è caratterizzata da un rinnovato rapporto egualitario con la cittadinanza (adulti e giovani), non più vista come utenza o come clientela, ma come co-costruttrice di una comunità inclusiva, autogestita ed educante;

• è chiamata a relazionarsi con tutte le persone che interagiscono sulla scena sociale della città intervenendo così sul contesto culturale e politico (non solo con bambini, adolescenti, genitori e altre figure professionali del sociale);

• è militante, cioè aderisce in modo coerente agli ideali/stili/visioni condivise (adesione formale) e declina nel personale vivere quotidiano i medesimi valori (adesione praticata/informale);

• sostiene con forza che la vita umana, i territori in cui si vive e le relazioni che si creano sono più importanti e in opposizione alle leggi del Mercato;

si contrappone allo smantellamento del Welfare pubblico rivendicando contratti regolari, a tempo indeterminato e con un reddito adeguato, fuori della logica della competizione tra lavoratori;

• richiede preparazione e costante formazione.

Gli adulti sono chiamati ad ingaggiarsi e a promuovere partecipazione attiva nel territorio, aumentando la loro dote di responsabilità. Non possono relegarsi ad un ruolo di “spettatori” della scena sociale.